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Specchio specchio delle mie brame. Ovvero Narcosi Narcisistica

L’entrata in quella casa era tipica; a mano a mano che mi inoltravo ne scorgevo uno. Non riuscivo a capire la sua età, forse quaranta, una maschera, gli occhi liquidi, i capelli di chi arriva da lontano, la voce una ribellione. L’impaccio delle parole un continuo guardarsi intorno come in cerca di un appoggio. Da tempo aveva chiuso la porta alla vita; da troppo tempo la vita le aveva chiuso la porta. Una sola luce: i suoi gatti; scopo di un’esistenza, trappola di un’esistenza. I discorsi, di chi non ha termine di paragone, non si preoccupavano di avvicinarsi alla realtà; certi di non essere compresi. Fuori da quel bozzolo una vita come tante altre. Si, un personaggio un po’ strano, ma chi non lo è in qualcosa. Il suo qualcosa era un mondo a se. Quel sorriso imperscrutabile. Ogni volta che uno di loro si avvicinava lo sguardo si illuminata, la voce cristallina, le carezze, un che di sensuale, parlavano di un tempo esclusivo. I gatti, lei, tutt’ intorno il silenzio. Le frasi un po’ scontate di quelle che purtroppo sento sempre più spesso: ” i gatti danno l’amore che nessuno essere umano è capace di dare “. L’elenco delle occasioni non colte ” per non lasciarli soli ” costo e ricavo di un’esistenza. La voce di chi avrebbe voluto tornare alla realtà. Il dipendente che non ha la forza di allontanarsi dal suo piacere, dal suo tossico. Ce n’era sempre qualcuno malato questo le dava ogni volta molta preoccupazione però poi non seguiva le terapie che venivano indicate: le modificava quasi sistematicamente perché diceva di conoscere i suoi gatti molto meglio di qualsiasi medico. A dire il vero ci fu un tempo in cui nessuno di essi presentò ” magagne ” ; fu proprio in quel periodo che decise di portare in casa l’ultima arrivata; raccolta dalla strada, piena di tutto quanto possa colpire uno di essi e naturalmente…. gravida! Un’altra dose di ” autonomia “. È questa una storia estrema? Una storia tanto rara? Per rispondere a questi interrogativi bisognerebbe andare ad analizzare alcuni ” amore per gli animali “. La cura oltre limite, l’amore senza confini, spia di qualcosa che con gli animali ha poco a che vedere. Chiedo scusa per l’ovvietà appena espressa ma nonostante la banalità quando ci troviamo in contatto con queste persone le liquidiamo subito con un ” è un grande amante degli animali “. Forse per pulirci la coscienza? Per non sobbarcarci una situazione di disagio? O forse perché se non tocca noi tutto va bene? Chi vive una condizione del genere è dipendente, sedotto, poco libero nelle scelte. La dipendenza non è dall’animale, come si potrebbe pensare, ma da sé stessi. La persona vive l’animale come uno specchio su cui riflettere quella parte di se che richiede attenzione, amore, stima e quant’altro ; si prende cura del gatto o del cane in realtà proietta sull’animale quella parte di se che al momento vive uno stato deficitario: cura per curare se stesso; ama per sentirsi amato; rassicura perché ha paura. L’animale parte di se. Perché specchio? Il rapporto è asimmetrico, di dipendenza, guidato dall’uomo, il quale interpreta atteggiamenti propri del cane e del gatto come atti di adorazione nei suoi confronti. Questo purtroppo provoca piacere, stimola l’ io narciso: ” sono necessario per la vita di qualcuno “, lenisce le pene, attenua le asperità di certi momenti. Si potrà dire che la funzione dell’animale da compagnia è proprio questa, ma quando ciò allontana sempre più dal resto del mondo già ricco di ” lupi solitari “, perché con il mondo umano ci si deve confrontare e spesso scontrare, scendere a compromessi mentre il gatto nemmeno parla, la scelta è fin troppo facile, quanto deleteria. L’animale via di fuga, trappola. Le esperienze narcisistiche sono piuttosto frequenti con i nostri animali e fin qui nulla di grave la cosa si fa importante quando ad esse si assomma la nascosi: il piacere beato, l’estasi da cui è difficile sottrarsi, medicina di tutti mali, velo pietoso, fossato sempre più profondo. L’isolamento diventa solitudine progressiva ed è inevitabile. Ad un certo punto neanche il gatto o il cane e più in grado di fornire conforto. La soluzione diventa: reiterare; adottando un altro animale alla ricerca di nuovi stimoli e ripetere la cosa per molte volte. L’atteggiamento dell’uomo dongiovanni: una continua ricerca di conferme. La perdita dell’animale in questo contesto apre una voragine, un lutto profondo, la perdita di una parte di se, che allontana ancor più; anche perché sempre più incompresi . Proviamo adesso ad osservare l’altra faccia della medaglia: l’animale. Molto più il cane, come si sa animale sociale, ma anche il gatto vive un rapporto così pieno con grande intensità. Chiariamo subito che ciò che vivono, per quanto possa sembrare un po’ schematico, è una gamma di stimoli che coinvolgono la sfera sensitivo-cognitiva. Stimoli acustici (richiami continui, uso del nome ad essi assegnato, registri di voce modulati, ecc. ), stimoli visivi (la presenza di persone in casa determina sempre un’azione quindi interesse), stimoli gustativi ( il biscotto, la fettina buona, ecc.) stimoli tattili (frequente contatto fisico), stimoli olfattivi (ricordiamo la grande sensibilità olfattiva del cane che stabilisce la presenza del suo padrone anche dall’odore ). Tutto questo in un rapporto bidirezionale. Il cane, il gatto centro d’attenzione. Perché lo specchio è il centro dell’attenzione di chi osserva anche se dell’atto ne diventa solo strumento. Visto dal lato dell’animale questo è essere il centro del mondo. Cosa succede quando tutto ciò viene a mancare? Pur di non perdere il pozzo dove andare a pescare non si stabiliscono regole certe? E quando improvvisamente in un batti baleno necessita trasformare il ” libertino ” in un perfetto soldatino di piombo? Crisi. Di ciò si potrebbe parlare per dei giorni. La difficoltà è provocata dall’incoerenza, l’imprevedibilità, la mancanza di uno schema di cui tanto hanno bisogno, vista la bassa capacità di astrazione;l’isolamento sociale intra specifico, la difficoltà a svolgere i propri moduli comportamentali spontanei e non solo quelli antropomorfizzati. Quindi Crisi psicologica oppure fisica o entrambe. Purtroppo la patologia e uno degli strumenti di rapporto della persona che vive il suo animale-specchio; per questo le ” magagne ” hanno spesso lunga durata. La malattia e funzionale al rapporto, gli animali coinvolti ” hanno sempre qualcosa”. La caratteristica di un’esperienza del genere è di instaurarsi in modo subdolo, insidioso. Spesso ci si accorge solo quando qualcuno lo fa notare, e con una certa difficoltà di ammissione. L’animale non sarà mai la soluzione delle pene dell’animo umano. Lo sforzo, specialmente da parte dei più sensibili, è di prevenire o eventualmente controllare sin dai primi segnali eventi che possono far perdere l’equilibrio spingendo in una situazione non facile poi da correggere. Con questo non si vuol dire che se si passa un pomeriggio al buio sul letto con il gatto sulla pancia ciò debba essere visto con allarme; bisogna solo avere la capacità di cogliere i segnali. Vorrei chiarire che con questi miei pensieri non ho voluto riferirmi a patologia della psiche umana ma ad una alterazione del rapporto uomo- animale che crea disagi agli animali e alle persone che con essi convivono