L’uso del collare antiabbaio e la sua configurazione come reato di maltrattamento di animali - animal collare

L’uso del collare antiabbaio e la sua configurazione come reato di maltrattamento di animali

La giurisprudenza della Corte di Cassazione è ormai concorde nell’affermare che l’uso del collare elettrico è una forma di maltrattamento degli animali, quindi può essere inquadrato nella fattispecie di reato ex art. 544 ter c.p. Di fatto, però, l’utilizzo del collare elettrico è ancora possibile, poiché la sua vendita prosegue ed è legale.

 

Il maltrattamento di animali e l'uso del collare antiabbaio

Imporre il collare elettrico al proprio cane può essere considerato un illecito penale. Nello specifico, il reato configurabile è quello di maltrattamento di animali, previsto e disciplinato dal nostro Codice penale all’art. 544 ter, che punisce chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura o infliggendo loro gravi sofferenze.

Anche la Cassazione si è pronunciata in merito, con numerose sentenze che qualificano come delittuoso il comportamento del proprietario che impone al suo cane il collare antiabbaio, dato che questo strumento spiega il suo effetto deterrente tramite l’invio al cane di una scossa elettrica (Cass. n. 3290/2018 e altre concordi).

Tutte le sentenze ribadiscono il medesimo concetto, specificando che il fine di addestramento, che spesso viene opposto come motivazione all’utilizzo di tale strumento, non è causa di giustificazione; così come non rileva l’eccezione (pretestuosa, peraltro), secondo la quale non è dato sapere con certezza se l’uso del collare elettrico provochi una reale sofferenza all’animale.
Infatti, secondo le motivazioni delle sentenze emesse in Cassazione, il funzionamento del collare elettrico si basa comunque sul provocare al cane una sensazione dolorosa,potendosi individuare così il nesso di causalità tra l’uso del collare antiabbaio e il maltrattamento.

 

La legislazione successiva al Codice penale e il dibattito in aula

Il collare elettrico tende ad associare, ad un’azione indesiderata compiuta dal cane, un'esperienza negativa, quella di subire una scossa elettrica, in modo che l’animale sia indotto a non ripetere più il comportamento segnalatogli dal padrone come "sbagliato".

Ma si può considerare "sbagliata" una forma di comunicazione?

Il collare antiabbaio, infatti, come suggerisce il suo nome, tende ad inibire un comportamento (l’atto di abbaiare), che per il cane costituisce il suo modo normale di comunicare: sottoporre l’animale ad una punizione solo per aver tenuto il suo comportamento normale è già di per sé, una maniera di maltrattarlo.

A questo proposito nel 2010, con la legge n°201, art 7, si è posto divieto di addestrare gli animali con mezzi che possano "causare ferite o dolori, sofferenze ed angosce inutili": di fatto, nelle tipologie di trattamento inadeguato, rientra anche il sistema del collare antiabbaio.
Subito dopo l’entrata in vigore della legge, si sono susseguite varie sentenze di condanna facenti riferimento alle norme in essa contenute e che, ad oggi, costituiscono precedenti giurisprudenziali destinati ad ispirare anche i procedimenti a venire. Una pronuncia particolarmente importante è quella emessa nel 2013 dalla Corte di Cassazione, la quale ha affermato che utilizzare il collare elettrico è "certamente incompatibile con la natura del cane".

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L’applicazione delle norme in materia nella situazione attuale

La nostra legislazione, pur affermando che non può essere ammessa alcuna forma di brutalità sugli animali, tuttavia non individua normativamente i sistemi considerati come causali ai comportamenti illegittimi e quindi non offre linee guida univoche e chiare al riguardo.

Il tutto con buona pace del benessere degli animali e della rilevanza penale del comportamento di chi adopera il collare elettrico sui cani, che continua ad essere disponibile sul mercato come qualunque altro genere di merce legale.

Questa discrasia tra norme di legge e realtà crea una zona d’ombra, ad oggi ancora difficilmente superabile. Giudiziariamente, dunque, è una questione che negli ultimi anni si è trovata spesso ad essere dibattuta nelle aule dei Tribunali, ma che in sostanza non ha ancora trovato una sua definizione, né una soluzione a livello fattuale.

Probabilmente, perché ciò avvenga in concreto, è indispensabile un cambiamento culturale globale, che riconosca come inconcepibile l’arrecare dolore ad un essere senziente, tentando di giustificare tale atto con la finalità di addestramento o come una soluzione a problemi di disturbo pubblico.